Il signore delle città

Le vedute di Carmine Ciccarini, Signore delle Città

da Arteinworld – Gennaio 2019

Che le vedute di Carmine Ciccarini siano espressione di una pittura di genere emotivamente descrittiva e niente più è opinione assai controversa. Come altrettanto da prendere con le dovute cautele il fatto che, proprio per questa assegnata etichetta, esse debbano rientrare in determinati e ben stabiliti canoni interpretativi controllati dal senso della vista e dal cuore.

Il soggetto “paesaggio”

Tale analisi è di certo legata alla conoscenza più storica che analitica del soggetto “paesaggio” e si mostra ben più incline a giustificarlo in nome di qualità visive riconoscibili, alle quali indistintamente critica e sentire comune consegnano da sempre caratteri immersivi, comunque emozionali. Per quanto la pittura di Ciccarini non possa del tutto sottrarsi a questa interpretazione; un’indagine più accurata e dedicata chiarisce il senso della produzione dell’artista di Chieti, per la quale egli sceglie volontariamente un altro percorso. Carmine infatti decide sin da subito che la sua sarà un’arte di distacco da certe questioni ora individuali e introspettive – come anche completamente sociali o di rottura – legate all’idea nostalgica di veduta in quanto risposta a un contemporaneo del tutto dimentico della pittura.

Tale decisione estetica si costruisce su una dimensione artistica tangibile – ancora egli dipinge a olio e procedendo per intense e misurate giornate; e ha ben evidenti alcune caratteristiche da porre in relazione immediata con una narrazione visiva che è, appunto, contemporaneo diritto di cronaca minuta. Ne è testimone l’intuitivo utilizzo del mezzo fotografico con il quale, alimentato da una curiosità conoscitiva che va oltre la sensazione del momento, Ciccarini documenta l’istante potenziale chiarendosene l’idea costruttiva: un’idea fatta di scorci prospettici e arditi traguardi visivi che hanno tutto in comune con la cinematografia, la teatralità e quella particolare sensazione di assenza dalla scena che si prova quando si è dietro la macchina da presa.

Un approccio “documentale”

Non dunque una partecipazione emotiva sensibile alla veduta quanto piuttosto un approccio documentale alla stessa. Egli recupera nel paesaggio principalmente urbano o di interni un punto di vista descrittivo, immobile e circostanziale che molti hanno puntualmente messo in relazione con certi risultati concettuali e autorevoli che vanno da Hopper a de Chirico (ed è così breve, il passo).

Eppure l’artista è più attento alla costruttività della luce che al suo significato sociale, più interessato all’incidenza geometrica dei piani luminosi che alla loro azione intellettuale. E sebbene emerga costante il rapporto con questo nobile passato fatto di citazioni, appare di maggior interesse considerare l’attualizzazione che gli opera sul soggetto di genere che qualsiasi altra questione comparativa.

Come è pur vero che non si possa negare alle sue vedute una certificata posizione critica, intesa comunque sempre nell’ambito di una riflessione non banalmente arcadica: la costante seppure latente sensazione di straniamento generata dall’urbanizzazione poco controllata degli ultimi cento anni diviene per Ciccarini pura cronaca del fenomeno, alla quale egli assegna qualità strutturali e formali proprie della pittura.

Dunque, la luce notturna diviene lettura semiotica, la successione degli edifici ampiezza prospettica a volo d’uccello, la composizione curiosità continua per invenzione e realtà al contempo.

In controtendenza rispetto a un’arte contemporanea minimale del tutto votata al rigore di forme e contenuti mediante l’essenzialità della linea, egli si pone dall’altra parte dello spettro alimentando una visione d’insieme complessa, dove ogni elemento possiede un valore strumentale designato.

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