Luciano Caprile – Carmine Ciccarini. La città delle anime

la città che sale si trasforma e trasforma anche la gente che la vive”

Il tema era già stato affrontato dai futuristi; la città che sale si trasforma e trasforma anche la gente che la vive.

Parliamo della metropoli, non della periferia disadorna declinata in seguito da M. Sironi nell’anonimato della gente immersa in una solitudine di forme. Parliamo di quella metropoli costantemente annegata in un’altra alienante solitudine che permea le immagini (ora fluttuanti, ora distillate in una insidiosa quiescenza) di Carmine Ciccarini. E che per primo G. Richter ha sondato con una attualità d’intenti che coinvolgerà tutti coloro che si sono avventurati in seguito lungo il medesimo percorso creativo. Richter è partito da una fotografia da dilatare e quindi da annullare in una candida, lattiginosa pellicola da cui far riemergere lo stesso scorcio filtrato dal suo sentimento, dalla sua indagine percettiva.

La New York di Ciccarini si nutre della stessa spinta ideale costituita da pulsioni emozionali;

anch’egli parte da un clic che funge da semplice pretesto per costruirvi sopra una storia che proviene dall’inconscio; dalla suggestione del momento che quel fotogramma riesce a far sorgere. Il gesto pittorico del nostro autore si sovrappone quindi alla realtà di partenza; la sostituisce con un’altra realtà parallela che racconta una storia più intima, più essenziale, più coinvolgente, da guardare con gli occhi e con il cuore. Due motivi di convergenza in continuo movimento perché i suoi dipinti sfuggono alla messa a fuoco; ovvero si rifiutano di venir consegnati alla pura e semplice contemplazione estatica. La città interpretata dall’artista umbro smarrisce la propria identità, verificabile nella corrispettiva cartolina di partenza, man mano che acquisisce la verità del gesto che la trasforma in un modo di essere e di guardarsi che non solo chiama in causa chi interpreta tale mutamento con chirurgica determinazione, ma coinvolge anche tutti coloro che si accosteranno (con gli occhi e con il sentimento) a un simile spettacolo.

Il movimento dichiara quel desiderio di ubiquità

(ovvero quell’ambizione di essere contemporaneamente qui e altrove, un altrove qualunque); che attanaglia e condiziona il nostro tempo computerizzato. Anche la città pare trasferire e far viaggiare parti di se stessa con chi la interpreta; le strade scivolano nella pennellata e scivolano di conseguenza i palazzi, promuovendo un curioso effetto di trascinamento.

Lo si può notare per esempio in “A new day”, – un olio su tela deI 2012 – che propone un nastro d’asfalto in fuga verso l’orizzonte che coinvolge i veicoli in un percorso di ombre e di luci rarefatte con il concorso fantasmatico dell’edificio in primo piano, dove emerge una teoria di finestroni in ritmica dissolvenza.

E la gente? Altri fantasmi, fantasmi di fantasmi.

A new day - olio su tela - 100x150 - 2012
A new day – olio su tela – 100×150 – 2012

Questa città delle anime in continua apparizione e sparizione, al pari delle cose, sembra volersi ricostruire e forse riconoscere sempre in un altro luogo. In “Flying on the river”, dello stesso anno, la doppia fascia motoria ha consumato ogni immagine nel generalizzato deserto della rappresentazione e l’ha fatta rinascere o l’ha trasportata in alto, nell’accumulo di case sull’estremo confine dello sguardo.

Ciccarini, culturalmente arricchito da una frequentazione letteraria (e magari anche cinematografica) d’oltreoceano che ha promosso Io spirito del viaggio e della frontiera; da Steinbeck a Faulkner fino ai cantori deII’easy rider; affronta quindi l’argomento sotto svariate angolazioni, ma con intatto pathos partecipativo.

Così “Flying”, dell’anno precedente; inserisce una promessa d’infinito nel fluido scorrimento che accoglie le automobili e i presunti occupanti per introdurli nel radiante deserto dei percorsi del colore tracciati con la determinazione del destino.

L’osservatore viene condotto nel territorio inconsueto di una percezione quasi tattile; essa coinvolge la materia pittorica, depositata a tratti in un limbo informale che annulla ogni logica prospettiva e pertanto ogni tentazione descrittiva. L’immensità dello spazio circostante ingoia il tempo delle promesse e semina briciole di trascurabili citazioni. Mark Twain scriveva in Pudd’nhead Wilson, un suo romanzo del 1894; 

“È stato meraviglioso scoprire l’America, ma sarebbe stato ancor più meraviglioso non trovarla”.

Flying on the river - olio su tela - 100x150 - 2012
Flying on the river – olio su tela – 100×150 – 2012

Se verso la fine dell’Ottocento questa frase assumeva un significato da legarsi in particolare alle discriminazioni sociali; oggi il pronunciamento della stessa frase riguarderebbe un’idea più ampia dell’America; potrebbe riferirsi all’America dei consumi delle cose, delle idee e delle immagini; ovvero a quell’America che aveva promosso la Pop Art e che aveva acceso l’estro di A.Warhol al cospetto delle notti di Las Vegas inondate dalle multicolori pubblicità al neon. Si tratta di quel concetto di America accolto dalla nostra epoca; con la tempestività consentita dai moderni mezzi di comunicazione che tendono a uniformare, quasi nel medesimo istante, gli eventi di ogni angolo del mondo. Sotto tale aspetto l’intervento narrativo di Carmine Ciccarini assume un valore molto più ampio; sposta ogni citazione o descrizione dove ciascuno intende collocarla; per cultura o per intuizione o per desiderio di fuga da se stesso, al di là di ogni contingente evidenza.[…]

E la gente?

Sembra non esserci e quando c’è interpreta il ruolo dell’eccezione, del fantasma, di un’ombra in veloce transito percettivo.

La gente è diventata l’anima forse superflua degli oggetti o delle situazioni che ha generato a proprie spese.

Viene cancellata o vanificata dalla stessa frenesia posta in atto per compiacere l’autolesionistica fuga verso la dissolvenza. Il tutto sembra rivolto a quell’obiettivo. Se in Edward Hopper era l’opprimente e ricercata staticità delle scene e degli interpreti a conquistare la ribalta di una generalizzata e angosciante solitudine; in Ciccarini è l’idea del movimento a permeare ogni gesto. E anche quando il paesaggio sembra concedersi una pausa o una sosta (come per un fermo di immagine), è lampante che si tratta di un’illusione svelata dall’assenza di una messa a fuoco dei particolari. Ritorna quindi l’approccio già attuato dal citato Gerhard Richter con l’annegamento delle sue scene in un limbo di liquidità e che Ciccarini traduce in lievi tocchi di colore disseminati su una formicolante distesa di case, come avviene in “Brooklyn rebuilding” del 2013. Man mano che ci si distacca dal proscenio cresce l’impasto delle tonalità per toccare verso il fondo l’acme dell’indistinto, della quiescenza, dell’abbandono, Il movimento si trasforma in una impalpabilità parimenti insondabile.

Brooklyn rebuilding - olio su tela - 50x40 - 2013
Brooklyn rebuilding – olio su tela – 50×40 – 2013

Si diceva della gente che raramente appare, perché sembra non troppo funzionale alla rappresentazione di questo mondo.

The station - olio su tela - 50x40 - 2014
The station – olio su tela – 50×40 – 2014

La presenza delle persone assume il marchio dell’occasionalità ed è quasi sempre in funzione del “paesaggio” che l’accoglie.

Così il personaggio in primo piano di “Rain man” del 2013 va interpretato come una macchia bianca che va a colloquiare con la similare impronta dell’autobus il cui lunotto affumicato lancia un’eco al nero trasversale dell’ombrello. Parimenti l’individuo che attraversa i binari in “The station” (2014) viene attratto cromaticamente e formalmente dall’armoniosa costruzione dell’insieme. Singolare è l’utilizzo delle ombre in “Man and dogs” (2103), a creare uno scivolamento verso il basso delle figure per l’effetto di una visione perpendicolare dell’insieme. Macchie, ancora macchie, sempre macchie, come una macchia è l’ombrello rosso in “Man with red umbrella” che focalizza al pari di un bersaglio l’attraversamento sulle strisce pedonali (in geometrico accordo complementare con il resto del quadro) di un ulteriore fantasma. […]

“Il ritorno delle anime”

Man with red umbrella - olio su iuta - 120x80 - 2013
Man with red umbrella – olio su iuta – 120×80 – 2013

C’è un quadro emblematico del 2012 che chiama direttamente in causa la gente e il destino: s’intitola non a caso “Il ritorno delle anime” e ha come sottotitolo “Carnevale”, di chiarificante puntualità per quanto si è detto fino ad ora a proposito degli individui che entrano come corollari nella logica di Ciccarini. Le persone si riconoscono solo in maschera, nell’addobbo di quell’apparenza, di quella superficialità che le rende un elemento di contorno o uno schizzo fantasmatico nell’economia della rappresentazione.[…]

Il ritorno delle Anime (Carnevale) - olio su tela - 100x70 - 2012
Il ritorno delle Anime (Carnevale) – olio su tela – 100×70 – 2012

La città metropolitana in senso lato – N. Y. rappresenta ovviamente il prototipo di una simile situazione – va dunque intesa come una caustica metafora dello strazio esistenziale a cui è sottoposto l’uomo, che va a riflettersi nei marchingegni e nelle strutture che egli stesso ha messo in movimento e non è più in grado di regolamentare; dal momento che è ormai parte dell’ingranaggio al pari degli altri componenti inanimati.

E le anime? Paiono staccate da un corpo che non è più in grado di accoglierle, al pari dei pensieri autonomi.

Talora la fluida, ampia pennellata di C. Ciccarini sembra voler compiere un gesto di pietosa comprensione nell’impastare le forme con il movimento; nel privilegiare l’indistinto, nella reiterata fuga dalla messa a fuoco. Il deserto delle palesi e partecipate emozioni viene occultato nella fossa comune della dimenticanza. Così le anime possono trovare rifugio, come labili tracce a contrasto, lungo la spremitura stradale che incide “I wanna be 2”. 

Oppure sembrano perdersi definitivamente nei luminosi filamenti che attraversano “Metropolis” (2013); o ancora vengono assorbite dai grattacieli che annunciano Los Angeles in “Clouds” (2013).

I wanna be2 - olio su tela - 90x140 - 2011
I wanna be2 – olio su tela – 90×140 – 2011

E tale percorso di scavo interiore e di conseguente manifestazione pittorica rivolta a una inquietante e affascinante attualità promette ulteriori capitoli di indagine. Intanto dalle ultime prove emergono nuovi approcci investigativi che riguardano la Cina: ci riferiamo in particolare a “Walking in Hong Kong” e a “Market on the road (Shanghai)”, (entrambi 2013) dove la gente entra direttamente a far parte del corredo paesaggistico, cercando un contatto simbiotico con le strutture ambientali e con le cose legate a esse.

Che sia questa un’anticipazione del nuovo corso?

Luciano Caprile, critico, – Genova – luglio 2014

(il testo completo della critica è presente nell’omonimo volume a cura di Caprile stesso edito da Skira)

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